Nativo, Amico, Vecchio
Tre disegni, Tre dipinti, Tre poesie
...mannaggia: “vedere, immaginare, toccare, fare, scoprire, credere, perdere, ricominciare” è stato sempre così ovvio, così stupefacente trovarmi lì in quel momento, esserci ed avere il coraggio di capire. Miei cari, carissimi stranieri amici che mi avete preceduto. Meravigliosi talenti, uomini e donne che hanno fermato il tempo, che durante il percorso hanno allargato l’orizzonte, immaginato prospettive inenarrabili, lasciato lembi del proprio pensiero come mattoni, cemento di intuizioni come montagne di giustezza, lasciato sangue di memorabili genialità. Ed io solo sento una flebile polvere scorrere sotto le mie dita ora ossute e malferme, un pulviscolo insignificante, una pavida nuvola silenziosa che avvolge il mio passato come uno sconosciuto troppo vecchio, un fiore troppo fragile. Allora vedo un segno e lo uso e lo ripeto infinite volte cercando un senso fino a che sono vinto, il foglio è colmo delle mie insicurezze, anche quel giorno ho terminato di fare qualcosa. Erano i disegni di “Nativo Amico vecchio” per sbaglio li girai e dietro c’era una sorpresa, un regalo che il caso, la volontà ed il desiderio avevano compiuto al mio posto. Sul retro per errore, per consunzione, per trapasso inconsapevole di inchiostro appariva la sintesi appena accennata di un opera che non avevo mai realizzato, tremante eppure precisa, un’icona che oltrepassava il tempo sfuggendo alla mia volontà, all’inutile paternità dell’errore e confluire in una propria vita da alcuno desiderata.
Nativo
Temeraria, avvolta in secchio di mare
Water borbotta nascita di mani e piedi di bambino ignoto
Fuori di placenta la casuale carne urla
S’aggroviglia, s’impaccia, s’appiatta dormiente
La strada spreme il passante inconscio, lo inghiotte, lo lascia andare
La pioggia batte la notte, incrinando l’asfalto fino all’orizzonte
La collina scende, sale e torna alla battigia
Al mattino il raggio illumina il corpo senza nome.
Amico
Del corpo adagiato nell’infante memoria respiro l’odore
È corpo maschio ed è corpo femmina
Adagiato come giovane, riflesso come vecchio
Infante pulcino di terra e paglia senza destino
Memoria sacra che tenta alla morte ed alla vita
Respira sull’orlo dell’inconscio nella placenta ubriaca
Odora della nascita del se dimentico d’ogni desiderio
E s’affolla nella mente stupita il diabolico chirurgo
Che d’ingegno scuote l’ambizione ed affama il desiderio
Ostruisce l’abbraccio per un gioco d’ozio
Avvicina ed allontana, nasce ed uccide per nulla
Mentre la minestra bolle ed evapora sotto l’occhio profano
Ed il profumo della fame diviene sordido ed incomunicabile peccato
Ed il braccio non trova più l’appoggio necessario
Il muscolo intorbidisce
Il tendine contra e molla
La pelle s’increspa
La presa vaga nell’inezia
E non rimane altro nome da ricordare e stringere a se.
Vecchio
Cortecce di tutti gli alberi del mondo
Pietre di cime di mille montagne sferzate
Sabbie dei mari che inghiottono
Prati che rigogliano e seccano
Orme
Nella pupilla adesso irata adesso stesa, scorre il resto dell’inettitudine
Nel sangue brunito l’urlo dei vulcani incazzati
E sulla lingua reclina suona la parola non detta, il rimorso
Mentre tuona la campana ed il vagito s’acquieta
E tutto torna come era prima