
Oscar 13
Oscar 13 | Italia 1947 - 2014 | 200 x 400 cm
Oscar 13 | Italia | 1947 - 2014
La tela di cm. 200x400, dipinta con colori ad olio, è concepita per rendere tributo alla cinematografia Italiana, all’arte visionaria, al racconto espressionista reso indelebile con l’uso di fotogrammi di cellulosa a 24 frame. Almeno altri cento film meriterebbero di essere citati, considerati, dipinti ma, avrei dovuto decidere esibendo un’autorità personale che non mi compete o seguendo una classifica stilata da storici e critici che comunque, raramente sono in accordo. E sarebbero stati troppi!
Dunque, in occasione del 13° Oscar de “La grande bellezza” il problema è risolto. Riconoscimento giunto oltretutto nel momento in cui, un numero, il 13, diviene rotondo e ben augurante ad infilarsi nella maturità della mia vita artistica e coincidere con la passione per la “Settima Arte” geneticamente ereditata. Quanto basta per chiudere un cerchio e passare ad un azione propria.
Assemblare in uno stratagemma visivo e narrativo tante Opere è quanto di più semplice e complicato esista. Basta scegliere delle foto, pescare nella propria memoria emozionale, miscelare, farle entrare, contenerle in uno spazio, disegnarle, colorarle ed il gioco è fatto. Chiaro, evidente e puerilmente risolto il quesito, l’ardire, l’idea. Ma, allora, sarebbe bastato un buon grafico di Photoshop! Sì, come partenza è ok, da qualche parte si deve pure iniziare.
Ma, che arte è che ardire è se non v’è rischio. Se il programma è saturo ed efficiente fin dall’inizio, se il risultato è scontato?
Naturalmente non è il mio caso, non questo caso, non la mia vita. Non mi perderò a raccontarvela, ma assicuro non è così.
La tela deve dare allo “spettatore” una visione interiore dei fatti, come le opere che ne faranno parte hanno ben saputo fare. Quindi, dal momento in cui il cotone è stato tirato e preparato in poi, una lunga ansia di cadere nel vuoto del già visto, già fatto, già detto, già mille volte celebrato meglio di quanto io, con i ritagli rubati al tempo potessi, distillare, incollare, evocare, furbamente e pericolosamente rieditare mi ha accompagnato. Lo avrei fatto come un diavolo ti spinge alla superficie delle cose, alla banalità, al successo per ottenere con il minimo sforzo il massimo risultato, ed esporti poi felice, al ludibrio altrui.
Come si può citare De Sica, Fellini, Visconti e tutti gli altri e tutte le loro storie senza tremare, ma pure sentirsi onorati semidei, capaci, consci o meno di comunicare in forma diversamente efficiente qualcosa che già non si sapesse? L’ovvio compiuto divenuto storia. È necessario, nelle prescrizioni di vita dell’arte, il tuono esplosivo caratteristico della lotta tra presunzione ed umiltà. Devi sentirti zero e nel medesimo attimo l’unico in quel momento in grado di risolvere il problema.
Quando dipingi un occhio, e qui ce n’erano più di cento, non devi fare solo la copia che vedi sul bozzetto che hai davanti, devi occuparti dell’anima o della coscienza che da quella sfera fragile e luminosa vuole uscire, come se attraverso il tuo segno, un vagito ancora si udisse, un non detto vitale e per caso sfuggito, irrompesse in uno spiraglio di saggezza a dire cose ancora sorprendenti, ancora necessarie.
Ma quest’opera non è fatta solo di occhi, ma di teste e di mani, di vesti e di sfondi, di dove infilarli e dove legarli gli uni agl’altri. Perché lì e non da un’altra parte, perché in quel modo e non in un altro?
Perché oggi decido io e la mia canzone suona così come ora si sente e si vede! Ma a me il dubbio del perché “lì e non lì” si è palesato mille volte, ci sono andato a dormire e mi ci sono svegliato, ma infondo ci sono abituato, è una vita che lo faccio. Dubbi, ombrose, fragili e velenose tentazioni del nulla chissà, forse proprio come i grandi registi che ho citato, i loro attori, le loro maestranze, le giornate di lavoro troppo fredde o troppo calde, i conti che non tornano, le infinite attese tra un ciak e l’altro, una scena e l’altra, un sorriso, un pianto, un grido, un silenzio, un dettaglio fortemente voluto e poi gettato nei ritagli di cellulosa.
Chissà se anch’io alla fine sono riuscito a far parte di quelle troupe di lavoratori dal genio visionario ed irripetibile? Non so, ma se non ero lì con loro deve esserci mancato poco, davvero poco. Perché dipingere una grande tela, realizzare un grande progetto è un viaggio come un altro, solo un po’ più incosciente.